Lo scorso sabato sera a Treviso si è verificato un fatto increscioso.
A una cittadina diversamente abile è stato infatti impedito di assistere a un concerto in programma presso il Palazzo dei Trecento, patrocinato dell’Assessorato alla cultura di “Treviso smart city”.
Il salone è raggiungibile dai diversamente abili esclusivamente attraverso la Prefettura, ma l’amministrazione comunale ha dimenticato di informare la stessa Prefettura della necessità di garantire il passaggio sabato sera.
Dopo che il fatto è stato denunciato pubblicamente, sono arrivate le dovute scuse di Ca’ Sugana.
Tuttavia questa “dimenticanza” fa arrabbiare; ogni dimenticanza ha una sua motivazione.
La disabilità rischia di divenire altro, qualcosa di più grave di ciò che già è. Se nella vita di tutti i giorni un disabile è costretto ad essere aiutato costantemente da altri, perdendo così parte delle abilità residue che mantengono viva la propria autodeterminazione, tale perdita non è solo di quel disabile, ma di tutta la società in cui egli è inserito.
La possibilità di ciascun essere umano di sentirsi vivo, autonomo, capace, riguarda non solo i diversamente abili, ma anche un anziano o una madre che spinge una carrozzina o che necessita di uno spazio posto in sicurezza ove poter crescere il proprio bambino o allattarlo.
La “dimenticanza” di cui si è resa protagonista l’amministrazione comunale della nostra città è grave nella misura in cui viene meno quell’empatia con l’altro, con il “diverso” da me, che presuppone che io debba attivarmi per far sì che la realtà possa essere fruibile, in autonomia, al di fuori di me. L’unico strumento gratuito che abbiamo è il nostro cervello: cerchiamo di usarlo non solo per soddisfare i nostri bisogni ma anche per predisporre un ambiente migliore per gli altri!
Se io, persona normodotata, voglio andare al cinema, a una mostra, a un concerto o in qualsivoglia luogo di intrattenimento, penso, mi attivo e ci vado. Tale libertà, tale autonomia, deve essere offerta a qualsiasi altro essere umano. In caso contrario non si tratta di vera autonomia!
La libertà di accesso ai luoghi pubblici non può essere blindata da un orario o da una “mancanza di personale”: sono frasi che non si possono più sentire.
La soluzione non è protocollare un servizio, ma creare veramente una città per tutti. Fruibile da tutti.
L’intento di chi scrive non è quello di tornare sul fatto specifico avvenuto sabato scorso, bensì di offrire una critica costruttiva in merito a una tematica sociale che stenta ad essere affrontata in maniera adeguata: non solo a Treviso, ma a livello nazionale. Manca una visione d’insieme della ridefinizione delle nostre città, che devono essere pensate per ogni essere umano, che deve essere aiutato a vivere pienamente, senza l’aiuto altrui.
Questo sarà possibile solo nella misura in cui riusciremo a farci carico responsabilmente della realtà in cui viviamo, costruendo un ambiente protesico a 360°.
Utopia? Forse sì, ma noi la immaginiamo così una città: “a misura di tutti”.
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